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Le Otto Stagioni dell’Ensemble dell’Orchestra Filarmonica Italiana al Teatro Ristori

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Ensemble OFI Le Otto Stagioni

Un ponte musicale tra due secoli: un viaggio che, partendo da Venezia e passando dal cuore dell’impero asburgico, conduce fino alla Buenos Aires del Novecento. Da Antonio Vivaldi a Astor Piazzolla: un concerto in cui tradizione e modernità si incontrano grazie ai virtuosismi dell’Ensemble dell’Orchestra Filarmonica Italiana.

Le stagioni di Vivaldi verranno alternate alle quattro stagioni Porteñas, o di Buenos Aires, scritte da Piazzolla negli anni Settanta. Un grande violinista, Gidon Kremer, ha avuto l’idea di far riarrangiare le composizioni di Piazzolla secondo la strumentazione delle stagioni di Vivaldi, arrivando a ottenere un risultato straordinario, che rivela l’anima «pop» di Vivaldi. Si tratta di un accostamento audace. Vivaldi era sicuramente un grande musicista «pop» del suo tempo. Anche quando è molto melodico, Vivaldi presenta un impulso ritmico costante, quasi un movimento di danza, che lo avvicina alla musica leggera.

L’accostamento tra le due partiture, scritte a circa 250 anni di distanza (quella di Vivaldi fu pubblicata nel 1725, le Estaciones di Piazzolla furono composte tra il 1965 e il 1970) mette in contatto due concezioni diverse dei ritmi circolari con cui si muove il mondo. Nella spettacolare invenzione del veneziano prendono forma le voci e i suoni della natura che da soave in primavera si fa aspra d’inverno e si immaginano le attività umane che si organizzano secondo le quattro parti dell’anno. Semplificando, si può dire che Vivaldi descriva la realtà oggettiva, la natura e l’uomo in essa, man mano che le stagioni compiono il ciclo. Piazzolla non lo segue sulla stessa strada.

Anche se le sue Cuatro Estaciones sono nella stessa tonalità dei quattro concerti vivaldiani (mi maggiore per la primavera, sol minore per l’estate, fa maggiore per l’autunno e fa minore per l’inverno) e anche se accolgono riferimenti espliciti alle partiture del Prete rosso, secondo Giorgio Appolonia, nei lavori dell’argentino “il descrittivismo meteorologico viene risparmiato, anche per una certa monotonia dei climi sudamericani, a vantaggio di una profonda rivisitazione emotivo-psicologica di ogni parte dell’anno”. Dalla descrizione oggettiva si passa all’interpretazione soggettiva. Così il viaggio dal Settecento veneziano al Novecento porteño rappresenta quasi un percorso di introspezione, con lo sguardo che si sposta dalla natura circostante ai paesaggi dell’animo umano. Intelligente infine l’organizzazione del programma che fa seguire alla Primavera di Vivaldi il Verano di Piazzolla, all’Estate l’Otoño, all’Autunno l’Invierno e all’Inverno la Primavera porteña in un ciclo che mai finisce.

Le Quattro Stagioni di Vivaldi appartengono da tempo (non da sempre, anzi: il mezzo secolo della loro universale popolarità è poca cosa rispetto ai tre secoli passati da quando furono composte) alla ristrettissima cerchia delle composizioni “colte” diventate “pop”. La loro fortuna è costante, diffusa, autenticamente globale, oltre le mutazioni dettate dai diversi gradi di consapevolezza storica negli approcci interpretativi. Perché come avviene solo per ciò che è autenticamente “classico”, affermano il loro valore a prescindere dal fatto esecutivo. E lo conservano anche se sono diventate sempre di più uno “sfondo” sonoro nella vita di tutti i giorni, una musica – come suole dirsi – d’ambiente.
Il repertorio di Piazzolla si presta perfettamente a un’esecuzione classica poiché è molto difficile, pieno di virtuosismi. I suoi pezzi vanno rigorosamente suonati in modo classico. Lo stesso Piazzolla non era molto amato tra i «tanghèri», poiché scriveva musica troppo complessa rispetto ai canoni tradizionali del tango argentino.

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